Dai Tatra alle falesie slovacche in compagnia di altri scalatori locali.
Sempre Silvia che racconta la fine del viaggio:
Arriviamo a Manin, non lontano da Povaska Bystrica (attenzione alla toponomastica slovacca), dove veniamo a conoscenza dell’esistenza di un importante Club di arrampicata, esistente dal lontano 1943, che ha unito e unisce arrampicatori e alpinisti attivi dai Vysoke Tatra sino alle belle pareti di calcare della zona attorno a Manin.
La stessa strana combinazione di eventi porterà, due giorni dopo, me e Luca a bordo di una skoda rossa, al termine di una divertente giornata di arrampicata nella zona di Sulov, un’area particolarmente nota dell’arrampicata slovacca, a causa delle sue affascinanti formazioni rocciose, miste di conglomerato e arenaria, che assumono le forme più varie, ricordando talvolta alte fiamme, altre volte sagome di animali.
I finestrini sono abbassati, la voce di Freddie Mercury, insieme all’ultima lingua di sole, si sparpaglia sull’asfalto; alla guida dell’auto, occhialetti di plastica colorati e sigaretta in bocca, mentre accompagna con la voce “I want to break free”, c’é Dino Kuran, di fianco a lui Petra, la sua ragazza. L’ennesima sorpresa del viaggio, conoscere il fuoriclasse Dino Kuran: l’apritore, insieme a Koller, della famosa Denti del Granito sul Picco Amedeo, nonché di numerose vie di elevata difficoltà in Marmolada; uno degli alpinisti più completi e capaci del panorama contemporaneo (e, scopriremo, anche uno tra i più divertenti, degno del nostro spirito di divertimento da italioti all’estero).
Durante l’istruttiva giornata, avevo scoperto che in slovacco “Si” si dice “Ano”, abbreviato in “No” (è consigliabile quindi trovare un altro modo per intendersi quando si è in via con uno slovacco); che gli slovacchi non hanno paura di calarsi in corda doppia neppure su un vecchio chiodo singolo, purchè l’abbia piantato Fero Piacech, e che c’é qualcuno, oltre a mio padre, che ancora fa uso dell’eccentrico per attrezzare le vie. Tornata a casa, quando ho raccontato entusiasta alla Lina, mia nonna, moglie della compianta guida Giulio Fiorelli e per anni al suo fianco nella custodia del rifugio Gianetti, del mio incontro con i cecoslovacchi mi ha detto semplicemente: “Aaah! Quii cechi… i g’aveva mai scià danè”. (non è slovacco ma dialetto, e significa che non avevano mai soldi).
A questo punto mi sono sentita in dovere di raccontare alla Lina che Zigo, Igor, Fero, Dino e Petra, insieme a tutti gli altri amici Slovacchi, erano stati per noi ottimi “rifugisti”, riservandoci un’amicizia e un’ospitalità rara anche per le nostre capanne.
Per lo stesso motivo dalla Slovacchia ho portato a casa un bellissimo ricordo delle persone, oltre che dei paesaggi che ci hanno accolto. Sembrerà banale, ma credo che anche Fero Piacech apprezzerebbe un finale essenziale come: “Grazie a tutti e Dovidenia”.
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In visita alla falesia più a Est, appena prima dell'Ucraina |
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Tomasovsky |
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A Manin, verso la grande grotta |
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Dino sulla via di Fero a Manin, primo tiro marcio e chiodato marcio, paura | | | |
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Prosegue lui sulla via di Fero, tiro duro di 7b a chiodi normali |
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Manin |
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Petra e Silvia in un settore alto di Manin con vie sportive |
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Tramonto a Manin |
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Verso Solu |
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Petra su una fessura da proteggere a Solu |
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Un forte local di Solu |
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Solu |
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