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mercoledì 1 gennaio 1997

Patagonia, la vida!

Dopo la via nuova sul Cerro Piergiorgio e la solitaria alla Guillaumet, rimango da solo a vivere un altro mese e mezzo patagonico.
Il diario di quei giorni:

5 gennaio

Anche Dante mi lascia solo. E’ arrivato il suo momento di rientrare nella nazione più stressata di questo mondo. Quando saluta tutti e sale sull’autobus, riesco a leggere nei suoi occhi commossi il desiderio di ritornare, di rivivere un’esperienza che va al di là delle rocce, dei ghiacci, delle cime raggiunte.
Adesso sono rimasto solo, fisicamente ma non mentalmente. Ci sono alpinisti e amici di tutte le nazionalità, persone che mi costringono ad abbandonare i miei ambiziosi programmi solitari. Mi accordo con Rolo, Rolando Garibotti per l’anagrafe. E’ un ragazzo argentino, originario italiano ma che ora vive in Stati Uniti. Anche lui è senza compagno e anche lui ha ascoltato i ricordi che Cesarino Fava ci racconta in continuazione qui in paese. Cesarino, per chi non lo sapesse, ha partecipato alla spedizione della prima ascensione del Cerro Torre nel 1959, quella di Cesare Maestri e Toni Egger. La morte di Egger e la perdita del materiale fotografico hanno fatto sì che tutto il mondo anglosassone attaccasse la veridicità della salita. Il mistero del Torre non è ancora stato risolto poichè nessuno è ancora riuscito a ripetere la via dei primi salitori.
Alla fine guardo in faccia Rolando: “Perchè non andiamo a provare?”.
Cesarino ha le lacrime agli occhi quando ci vede partire verso il campo base, in direzione del Cerro Torre, la montagna che ha segnato la sua vita.

6 gennaio

La favola è durata poco. Poco sopra il campo base c’è la neve e questo non è un buon segno per l’idea di tentare il Torre. Con Rolando pianifichiamo altre ascensioni e non è un lavoro facile: le condizioni delle pareti sono pessime, il maltempo è in azione da quasi un mese e le vie di roccia sono tutte ghiacciate, insomma, una bella gatta da pelare!

La vecchia e mitica casetta del Campo Bridwell (ora Campo De Agostini)